L' oro del Nord

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    È tutto inutile.

    Questo sembrava essere il significato di quella pressione al petto che cominciava ad avvertire. Qualcuno avrebbe potuto definirla “affanno”, “fatica”, “stanchezza”, “fiato corto” – ma nessuna di quelle definizioni, da sola, avrebbe potuto abbracciare il terrore che provava all’idea di vedere parte del suo corpo lacerarsi ad un’intensità tale da separarsi dal resto delle carni; che il calore, che aveva reso parte delle punte dei suoi capelli dei filini striminziti privi di linfa vitale, e le fiamme potessero arrivare a macerare i suoi tessuti.
    Era una fine che non aveva mai nemmeno immaginato e che, ora che l’aveva contemplata, si era seduta con tracotanza sul trono delle sue più terribili paure, non un ente con cui ragionare, o contro cui ergersi stoicamente, ma da cui, per il proprio bene, urgeva allontanarsi alla svelta e senza mai voltarsi; ma, come il suo corpo stava tentando di dirle, era anche l’inesorabile fato verso il quale si stava dirigendo, perché – a giudicare da ciò che poteva sentire intorno a lei – non era ancora fuori pericolo, e non poteva correre per sempre.

    “Non voglio morire così.”

    disse il suo Io interiore, visualizzando le sue estremità e le parti molli schizzare via come i frammenti di roccia sospinti via dal demone sulfureo.

    “Non ce la faccio.”

    proseguì, immaginando la penosa lunghezza di tutti quei secondi che avrebbe trascorso dopo essere stata colpita da uno di quei “coltelli con sorpresa”, moribonda, ma abbastanza lucida da sentire il liquido fluire via dal cranio aperto, sentire su di sé l’ardente tocco del sole in terra e non riuscire a muovere coerentemente nemmeno quei pochi muscoli necessari a provare a porre fine alla sua esistenza, a risparmiarsi quella fine ignobile.
    Intorno a lei, nel frattempo, la brughiera mutava ancora: gli alberi reclamavano a gran voce il proprio dominio su quelle terre, mostrando senza alcun ritegno le radici ignude e cercando sempre più avidamente un contatto tra loro; le ampie distese di gramigna e altre erbacce che aveva attraversato in cerca di salvezza vennero rapidamente soffocate dal contorcersi di fronde, fittoni e cortecce, la cui comunione d’amore avrebbe segnato la sua morte.
    La sua corsa era quasi giunta al termine.

    Non voglio.

    Voleva solo andare via, ma non le sarebbe stato concesso; non dalla natura…ma, soprattutto, non dal suo assassino.

    No!

    Con questo pensiero, il pendolo delle emozioni dell’orfana si congedò dall’estremità della paura e si rivolse verso quella della rabbia, e il suo fare mutò ancora.
    Sentendo quei passi muoversi ritmicamente da un limitare all’altro delle sue percezioni e in vista di quel fitto del bosco, avrebbe rallentato il passo, aspettando che l’avversario si trovasse entro le sue ore tre; a quel punto, sarebbe scattata in quella direzione, alla ricerca di un varco in quella natura inclemente, per provare a intercettare quel movimento circolare. Se avesse avuto successo, l’attentatore si sarebbe visto affiancare da una ragazzina in divisa completamente muta e dal volto amorfo, a eccezione di due iridi rosse completamente fisse su di lui, dalle ciglia madide di lacrime.


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    Che fosse ormai giunta la fine per Elizabeth? Un cammino sol'ora iniziato e che stava arrivando al culmine, in un luogo abbandonato, dove neanche il corpo morto avrebbero trovato, nel verde, le sue macchie di sangue avrebbero tinteggiato ogni cosa, rendendo l'ambiente perfetto per un quadro realista e cupo, con tinteggiature splatter. Era dunque la fine della ragazza? Forse era arrivato un altro momento per la foresta di sentire l'odore di ferro delle gocce di sangue. La ragazza, parlando e impazzendo nella sua mente, stava avendo un conflitto con il suo IO, con il suo ESSERE e l'istinto di dover agire, di dover fare qualcosa, magari dare cibo alla paura non era la cosa giusta da fare, ma era sempre per essa che la giovane si mosse. Decise che non doveva avere paura, di doversi fidare della sua forza interiore, di provare almeno a far qualcosa, di non scappare continuamente come un topo di fogna. Lanciarsi ora, evitando ogni altra paura, la giovane corse contro il suo nemico che si stava muovendo intorno a lei e la sua strategia di voler interrompere la sua corsa, lo portò infine ad individuare il suo nemico. Era un uomo magrolino, abbastanza adulto, all'incirca sui 25 anni, indossava una canotta, ma il buio della foresta gli rendeva impossibile stabilirne il colore, indossava dei porta coltelli su varie parti del corpo. La parte inferiore era composta da un pantalone largo e degli stivali da militare, dentro i quali finivano le estremità dell'abito. Appena la ragazza sarebbe arrivata ad incrociarlo, sarebbe partito verso di lei il lancio di due coltelli, lanciati saltando all'indietro per allungare le distanze, uno verso il bacino della giovane e l'altro al ginocchio destro.


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    Alla fine, i sensi di Elizabeth si posarono finalmente sullo sfuggente sicario. A livello cosciente, questa notizia non portò in lei sollievo o gioia alcuna – e così sarebbe stato finché non lo avrebbe neutralizzato, soffocando quella sensazione di fine imminente; ma, sotto la superficie, corpo e mente avevano già preso a registrare una mole di dati e fattori che avrebbero potuto portarla in vantaggio.
    Il primo di questi fu la reazione del nemico al loro contatto, tentare di distanziarsi saltando all’indietro. Laddove il nemico aveva perso, seppur per un solo istante, la cognizione del terreno di combattimento, l’agente aveva, per la prima volta nel corso della loro tenzone, la possibilità di vedere chiaramente dove il suo movimento lo stesse portando, e dove avrebbe potuto dirigersi – era affiorata la possibilità di prendere l’iniziativa, di sottrarre al nemico l’azione e costringerlo alla reazione.
    Il secondo – ma non meno importante – era il mutato terreno di battaglia: ora che la macchia si era infittita e non era più in campo aperto, le possibilità che il nemico aveva di fare uso di esplosivi dal raggio così ampio senza subirne le conseguenze dovevano essere diminuite sensibilmente, a maggior ragione date le distanze ridotte tra loro due.
    Come avrebbe dato forma concreta a queste informazioni?
    Per prima cosa, avrebbe provato a schivare quelle due lame inseguitrici con un salto: avrebbe calciato il terreno con la punta del piede destro, trasformando – com’era solita fare – la parte anteriore del piede in un trampolino di tendini e muscoli con il quale si sarebbe data una spinta laterale verso la sua sinistra, per un metro di lunghezza. Al tempo stesso, avrebbe usato parte dell’energia generata da quel movimento per torcere leggermente gambe e busto, in modo da poter eseguire, durante quel brevissimo volo, una rotazione del corpo di un quarto di giro. Se fosse riuscita in tutto ciò, questa mossa le avrebbe dato il duplice vantaggio di offrire il profilo all’avversario – aumentando così le possibilità di schivata – e di riposizionarsi in vista dei suoi prossimi movimenti: atterrando con il corpo posizionato a quel modo e una leva sinistra pronta ad assorbire l’impatto con il terreno, infatti, sarebbe saltata alle sue ore due, per un altro metro di distanza. Da quella coppia di balzi a zig zag, Elizabeth avrebbe provato a incalzare il nemico, avvicinandosi da quello che al momento del suo salto all’indietro era stato il suo fianco sinistro con una serie di rapidi salti in linea retta, tutti da un metro di distanza: così facendo sarebbe stata pronta all’attacco e alla difesa, oltre che a evitare d’incespicare sulle numerose radici che spuntavano dalle profondità della terra.
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    Il lancio dei coltelli non andò a buon fine, trovando in Elizabeth un avversario agile e ostico. La ragazza, balzando verso sinistra, posizionandosi persino di profilo, evitò quel doppio colpo, riprendendosi subito dopo, balzando nuovamente verso il suo nemico. L'obbiettivo per lei era avvicinarsi, magari combatterlo faccia a faccia, evitare che si muovesse ancora di più. Osservando quella prima schivata, il nemico pensò subito di dover mettere la ragazza in una situazione di stallo. Unico punto a favore era la visibilità scarsa del tutto, dunque a maggior ragione durante l'avvicinamento della ragazza alla sua persona, lanciò verso la direzione di Elizabeth, una sorta di sfera nera, simile ad una biglia che infrangendosi anche con il semplice contatto con l'aria stessa, generò una nube nera, inodore, ma che ostacolava la visuale in un raggio di 10 metri. La biglia in questione poteva essere stata sentita dalla giovane dal rumore di una crepa sul vetro per intenderci. I suoni successivi, se Elizabeth avrebbe prestato attenzione, sarebbero stati di un filo metallico venir lanciato e aggrovigliarsi a qualcosa di solido. Non era del suo corpo che si parlava, lo avrebbe sentito, ma non era poi tanto facile comprendere a cosa si attaccato e subito dopo un suono di passi si poggiò in alto, sopra la sua testa, prima che un altro suono, ormai riconoscibile facilmente, penetrasse dentro la ragazza, facendole comprendere del pericolo che stava sopraggiungendo, quello di un'altra lama.


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    Un salto, poi un altro, e un altro ancora.
    Quei piccoli successi, che in qualsiasi altra circostanza sarebbero stati accolti con spavalda sicurezza, non furono per l’orfana cagione né di contentezza né di aspettativa alcuna: non vi era niente da contemplare, e niente vi sarebbe stato finché fosse perdurato quello stato di emergenza.
    Allo stesso modo, lo sprigionarsi di una coltre di fumo da quella specie di biglia venne accolta senza sostanziali variazioni nella morfologia del volto, né il resto del corpo si era prodigato in un movimento o una contrazione che segnalasse il prendere atto di quella nuova circostanza.
    La mente, invece, annotava per il suo stesso bene quel nuovo cambiamento, istruendo il resto della persona su come reagire a esso.
    La nube nera non risultava sgradevole all’olfatto, né – per quanto potesse constatare – nociva ai polmoni, ma si era diffusa rapidamente in ogni direzione, limitando sensibilmente il campo visivo. Era un ovvietà il fatto che non fosse stata lanciata per agevolare una fuga; e, sebbene tentare di uscirne potesse essere un invitante corso d’azione, c’era dell’altro. Quella nube poteva essere una lama a doppio taglio; in ragione di ciò il cervello di lei inviò a ogni fibra dell’apparato motorio una serie d’impulsi con un solo imperativo:
    Alt.

    L’agente terminò un balzo a piedi uniti e mani sul terreno, abbassando la sua figura verso il terreno per disperdere il moto residuo, e li vi stette, immobile, finché l’ombra non l’ebbe avvolta completamente; ma, quando il momento fu propizio e fece per muoversi, arrivò dell’altro.
    Sarebbe stato difficile capire di cosa si trattasse, se non avesse avuto memoria di quel trucchetto. Era uno di quegli espedienti usati spesso dai bambini di strada e tra le gang di giovani delinquenti, per compensare all’inferiorità fisica: tendere una spessa corda tra due palazzi e posizionarvici sopra, per minacciare il nemico dall’alto. Un espediente banale, ma sorprendentemente efficace in una città piena di dislivelli e vicoli stretti.
    Naturale, quindi, che il nemico potesse essere proprio sopra di lei; quello che restava un mistero, invece, era il rumore di passi che aveva sentito. Che fosse stata la sua immaginazione? Non poteva non essere una corda, a meno che sopra di lei non vi fossero uno o più rami. Era una variabile che doveva risolvere in fretta, per poter sfruttare al massimo quel fattore visibilità. Per prima cosa, però, doveva far perdere le sue tracce.

    Ancora carponi, si sarebbe mossa lentamente in avanti a mo’ di ragno, dapprima portando in avanti le mani e poi – dopo aver tastato il suolo ed essersi assicurata che fosse solido – la punta dei piedi. Avrebbe provato a spostarsi così, in quella maniera furtiva, per circa un metro e mezzo, aggirando eventuali rilievi incrociati sulla sua strada – piuttosto che scavalcarli – o fermandosi del tutto qualora i suoi palmi avessero trovato davanti a sé la base di un albero. A quel punto, avrebbe provato a fare altre due cose: la prima, tendere le orecchie e tentare di capire quanto fosse distante il suo nemico e capire se si stesse muovendo su dei rami o su una fune; la seconda, tastare non più di tre volte le sue immediate vicinanze, alla ricerca di un sasso.
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    La nube continuava ad imperversare nella zona e la visibilità per guardarsi intorno era scarsa, Elizabeth cercò di attutire i propri rumori, camminando a carponi, come se fosse un cane o un gatto, o un qualsiasi altro animale a quattro zampe. Il suo obbiettivo era comprendere dove si trovasse il nemico, aveva inteso che era nella zona, non era fuggito, ma i passi che aveva percepito non aiutavano in tutta quella situazione. Muovendosi lentamente, la ragazza avrebbe potuto percepire un altro movimento, simile ad un salto, ma senza tonfo pesante. Sembrava forse essersi mosso, o forse no, era difficile da comprendere se non eseguiva altri rumori, ma mentre cercava di comprendere, anche lei, muovendosi, avrebbe smosso un piccolo sasso, creando di per sé un suono che avrebbe potuto aiutare il suo nemico a rivelarla. A seguito di ciò, avrebbe sentito una lama fuoriuscire dal fodero, sempre sopra di lei, ma questa volta più a sinistra, difficile a dirsi dove, ma dopo un suono leggermente acuto, la ragazza avrebbe potuto comprendere che qualcosa era diretta nuovamente verso di lei. Aveva solo una zona larga, nulla di preciso, cosa avrebbe potuto fare Elizabeth in questa situazone?


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    Era come se quel velo nero li avesse trascinati in un mondo a parte, dove erano il buio e il silenzio a farla da padroni; dove il rumore più forte che si potesse udire fosse il battito del proprio cuore…e poi un leggero tonfo.
    Thump.
    Elizabeth s’irrigidì come una lucertola di fronte al pericolo, le dita della sinistra che ancora scivolavano lungo il perimetro della pietra che aveva smosso. Restò in quello stato per un eterno secondo, mentre i sensi si adoperavano senza riposo alla ricerca di qualsiasi anomalia la sua condotta potesse aver causato.
    In alto – ma quanto in alto? – qualcosa si levò: un suono parzialmente indecifrabile, vagamente riconducibile allo spostamento d’aria d’una piuma; un salto, certamente, ma privo di quell’atterraggio su un suolo – per quanto morbido – solido. Poi, alla sua sinistra, il segnale di un ennesimo attacco.
    Non aveva più molto tempo.
    Si raggomitolò lentamente su sé stessa, prima di rannicchiarsi a piedi uniti. La roccia, ora saldamente impugnata, sarebbe rimasta lì per pochi secondi ancora, giusto il tempo di mirare alla sua destra, al lato opposto rispetto a dove aveva sentito il nemico sfoderare la sua arma, e provare a lanciarlo come soleva fare da bambina, con quel gioco di polso che avrebbe dovuto assicurare almeno un po’ di rimbalzo.
    Così facendo avrebbe avuto un’ulteriore possibilità di capire come il suo avversario si stesse spostando.
    Quei movimenti leggeri avevano consolidato in lei l’idea che il nemico si stesse mantenendo in equilibrio su una corda; restava ora da capire se tale corda fosse tesa parallelamente o perpendicolarmente rispetto alla sua posizione. Nel primo caso, contava di sentire un coltello volare giù, il tentativo di coprire un area non compresa tra i due alberi a cui la fune era stata legata ma senza scomodarsi da quella posizione di vantaggio; nel secondo caso, invece, contava di udire, all’atterraggio, il rumore della fune in tensione…e, perché no, a seconda di questa, provare a ipotizzare quanto fosse lontana da una delle due estremità.
    Certo, l’avversario avrebbe potuto anche “fare l’impensabile” – non fare niente, o saltare su un ramo: se si fosse spostato tra gli alberi, scricchiolii innaturali e ripetuti dei rami o il distaccarsi troppo rapido delle foglie avrebbero rivelato facilmente la sua posizione; laddove l’ignavia, invece, l’avrebbe portato solo a perdere tempo. Entrambi le opzioni equivalevano a sprecare il vantaggio dato da quella bomba fumogena, ed era in ragione di ciò che riteneva la loro attuazione poco probabile: neanche lui voleva perdere tempo.

    Lightfoot (Lv. 1): Uno degli insegnamenti di Celia. Elizabeth ha imparato le tecniche e gli accorgimenti necessari per muoversi facendo meno rumore possibile, riducendo la probabilità di essere scoperta.

    Udito Sviluppato (Lv. 1): L’udito di Elizabeth è particolarmente sviluppato; laddove le potenzialità sono infinite, a questo livello l’abilità permette solo di udire suoni più lievi e/o più distanti meglio di una persona normale.


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    La scelta di Elizabeth fu strana, questo perché mentre lei in precedenza aveva trovat il sasso, i suoi acuti sensi l'avevano avvertita già in precedenza non solo della lama che veniva sfoderata, ma anche del suo lancio verso di lei. Il suono dell'aria che veniva spostata, o meglio, tagliata dal coltello che a andò a sfiorarle parte della mano, nel momento in cui lei stessa lanciò quel sasso nella direzione opposta. Il taglio sarebbe risultato di entità lieve, all'altezza del polso, orizzontale, ma di certo non invisibile ai suoi occhi. Il nemico, ad ogni modo, aveva lanciato prima l'arma, ora che rimaneva soltanto il sasso, come unico elemento di suono, portò la sua concentrazione nella zona in cui l'aveva sentito. Il nemico, non sapeva più dove si potesse trovare Elizabeth e di certo non poteva perdere altro tempo, l'azione della nube era ormai agli sgoccioli, quindi doveva sfruttare al meglio la scarsa visibilità che aveva creato per combatterla. La ragazza sentì il suono metallico di un filo che veniva piegato, probabilmente sotto sforzo di qualcosa di pesante, che fosse il corpo dell'uomo o meno, tale rumore proveniva sempre dall'alto ed era ad ore 11 dalla sua posizione. Questa volta un'altra lama venne sguainata, ma non ci fu alcun suono di lancio, il nemico era in attesa, stava aspettando il passo falso della giovane e si aspettava di farla muovere, lanciando un'esca verso le ore 5 della ragazza, non troppo distante da lui, a terra, un tonfo. Ci sarebbe cascata?


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    Fu come infilare la lama di una forbice nella carta tesa, e tracciarvi un solco.
    Nel lacerarsi, il velluto di cui erano fatti i suoi guanti assumeva una qualità gradevole all’udito – che, insieme al lampo di dolore, la riportò per un po’ nel regno del raziocinio.
    Come la pietra si fu congedata dalla mano, questa venne portata sotto l’occhio sgomento dell’agente, e accolta dalla calda stretta della gemella. Il volto e le labbra di lei vennero premute contro le membra ferite, i denti stretti nel tentativo di trattenere ogni possibile reazione all’accaduto.
    La lama in arrivo era senza dubbio stata registrata…
    e, ciononostante, non si era resa conto del suo arrivo. Urgeva essere più accorti.
    Ma non tutto il male vien per nuocere. Assodata la funzionalità della mano colpita – era stata davvero fortunata a non giocarsi i tendini – tastò il terreno intorno a lei, alla ricerca di quel coltello. Se i suoi sensi, o il fato, gliel’avessero fatto trovare, avrebbe avuto un piccolo vantaggio.
    A prescindere dall’esito della ricerca, si sarebbe mossa in visione del suo contrattacco.

    Il nemico aveva tirato fuori l’ennesima lama, convincendola del fatto che il cavo fosse teso parallelamente rispetto la sua posizione. L’avversario, inoltre, non era direttamente sopra di lei, ma alle sue ore undici – doveva procedere in avanti, ma compensare di qualche grado alla sua sinistra. E non era una corda, bensì un filo – avrebbe dovuto fare attenzione nell’interagire con esso.
    Con queste informazioni in mente avrebbe ricominciato a muoversi come un animale nella boscaglia, strisciando lentamente e in avanti, alla ricerca di un albero a metà tra le sue undici e le dodici. Se ne avesse incrociato uno, avrebbe girato intorno al fusto prima di alzarsi, tastando con cautela la corteccia: questo perché – ragionò – interagire a quel modo con il cavo, laddove era avvolto, non avrebbe gravato sulla tensione dello stesso, portandola a non rivelare la sua posizione.


    Lightfoot (Lv. 1): Uno degli insegnamenti di Celia. Elizabeth ha imparato le tecniche e gli accorgimenti necessari per muoversi facendo meno rumore possibile, riducendo la probabilità di essere scoperta.

    Udito Sviluppato (Lv. 1): L’udito di Elizabeth è particolarmente sviluppato; laddove le potenzialità sono infinite, a questo livello l’abilità permette solo di udire suoni più lievi e/o più distanti meglio di una persona normale.

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    Elizabeth aveva ricevuto quel colpo alla mano, ma non si era data per vinta, anche per il colpo non era mortale o letale, anzi.. non era neanche di entità media, ma di certo l'aveva ferita. In quella nebbia oscura, la ragazza alla ricerca di quel coltello lanciato non trovò nulla che potesse somigliargli, ma in suo aiuto trovò quello che sembrava essere un pezzo di vetro, non era ben chiara la sua origine, forse antecedente ai fatti che stavano accadendo in quel momento. Era una scheggia, di grandezza 10 cm, in vari punti ben tagliente, doveva essere maneggiata con cura, almeno al tatto sembrava essere un'arma abbastanza pericolosa. Dopo quella ricerca data dalla fortuna, la ragazza iniziò a muoversi a gattoni, come un animale della foresta, non era ben chiaro il motivo di questa scelta, probabilmente voleva ridurre ancora di più i suoni provocati dai suoi passi e portarsi in vantaggio. Era alla ricerca di un tronco, lo trovò vicino alle sue ore dodici, muovendosi intorno ad egli, poté sentire sul tronco che alcune zone della corteccia erano state rovinate in modo innaturale, erano state applicate delle forze o una singola, ma in più punti. Durante quel suo movimento, poté iniziare a notare che il fumo stava iniziando a scomparire, potendo intravedere meglio che sopra di lei, a circa 1 metro di distacco, legato ad un ramo vi era quel famoso filo in ferro che tendeva verso una zona ancora ricoperta dalla nebbia.


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    Forza, forza!
    Le mani indugiarono più del previsto in quell’erba. Nonostante la rapidità fosse essenziale, trovare quell’arma lo era ancor di più se voleva sfruttare adeguatamente l’effetto sorpresa. Dannò quella stupida esplosione e dannò sé stessa per aver mollato la presa su quel coltello; poi, correggendosi, si dannò per non averne comprato uno fin da subito.

    Non c’è più tempo, bas-
    Il pensiero fu interrotto da una sgradevole sensazione che si fece prima sorpresa, poi felicità:
    si era punta un dito, con qualcosa di grosso.
    Con prudenza, chiuse la mano sulla fonte di dolore, mentre un moto di curiosità cominciò a pervaderla. Era un oggetto sì tagliente, ma di forma irregolare; non una lama, ma una grezza scheggia di vetro, un coccio traslucido e marrognolo appartenuto a chissà chi.
    Gli scarti di qualcuno…
    si disse, osservando quello che era appena diventato il suo tesoro.
    Con quello sì che avrebbe potuto fare le cose per bene.
    Ma era tagliente, un po’ troppo tagliente.
    Urgeva crearsi un’impugnatura d’emergenza.
    Elizabeth si sfilò lestamente la cravatta bianca, avviluppandone parte della sua lunghezza all’utensile improvvisato. Non era né pratico né funzionale – non era niente di più di un coccio avviluppato in un enorme lembo di tessuto – ma mettersi a tagliare un pezzo della cravatta e annodarlo ben bene in quella situazione non era un rischio che era disposta a correre.
    No, andava bene così.

    Non passò molto tempo che Elizabeth si trovò davanti un albero. Fece il giro del tronco e poi si alzò, tastandolo con cura, alla ricerca del cavo.
    Eccoli.
    pensò, mentre le dita si profondavano nei solchi lasciati dall’avvilupparsi del cavo.
    Nel seguire quelle tracce, l’agente immaginò il tipo di attrezzatura che aveva permesso al nemico di fare una cosa simile. C’era di mezzo un qualche sistema per eiettare il cavo e scioglierlo a mezz’aria, certo; ma per lanciarlo? Una pistola, come quella di corvo? Quanto potevano costare simili marchingegni?

    Parecchio. Oltre che illegale, è roba parecchio…troppo complessa perché a trovartela sia “l’amico di un amico”: anche a voler guardare tutte le figure che bazzicano il mercato nero, non possono esserci più di una manciata di persone che trattino questo genere di articoli. L’alternativa…beh, l’alternativa è che qualcuno le crei per loro. Plausibile, visto che siamo su un’enorme miniera. I materiali si trovano facile, la roba per lavorare il metallo pure…ah, ovviamente.

    I solchi s’inerpicavano nel legno, sempre più in alto, oltre la portata del suo braccio.
    Ovvio, no?
    Con un po’ di attenzione si rese conto di poterlo anche vedere, tra gli sbuffi di quel fumo evanescente.
    Devo muovermi.
    rifletté, cercando di arrampicarsi su quell’albero.
    Nonostante fosse la scelta più rapida, aveva deciso di non provare a tagliare il cavo in volo. Anche se quel pezzo di vetro era piuttosto affilato, non aveva la certezza di poter tagliare un cavo in grado di reggere un uomo in un colpo netto. No, quella sarebbe stata l’unica possibilità di prendere quel tipo in contropiede, e voleva sfruttarla al massimo: perciò, avrebbe scalato quel legno fino al punto dove il fil di ferro si avviluppava, e avrebbe provato a segarlo.
    E dopo?
    Se il filo avesse ceduto, avrebbe dovuto sfruttare quei pochi istanti in cui il suo avversario sarebbe stato in caduta libera per raggiungerlo e ingaggiarlo.
    Più facile a dirsi che a farsi, ma la ragazzina riteneva di essere in vantaggio di almeno altre due mosse.
    Il futuro era un’immagine chiara nella sua mente: sentendo l’appoggio venire meno, quell’uomo avrebbe lanciato una manciata di coltelli in direzione di Elizabeth; poi, un atterraggio composto, un salto all’indietro e un secondo salto per raggiungere un albero su cui appostarsi fino al completo diradarsi della cortina fumogena. Un paio di azioni brevi ed efficienti, con cui riportare le cose allo stato d’equilibrio.
    Sensato.
    Per questo doveva anticiparlo.
    Se fosse riuscita a segare il filo, invece di saltare giù si sarebbe riportata verso il fusto dell’albero, eseguendo un mezzo giro e provando a scivolare giù da esso come se fosse un palo; così facendo, avrebbe frapposto il tronco tra sé e le lame che riteneva il suo avversario avrebbe scagliato; e, durante la caduta di questo, avrebbe provato a muoversi con degli ampi balzi in avanti, per sfruttare quanto più possibile ciò che restava della copertura gassosa e limitare il rumore, tracciando un semicerchio che partiva dalla sua destra di un diametro in metri tale da coprire non solo la distanza che, in quel momento, la separava dal nemico, ma anche tre metri extra, il massimale che riteneva il funambolo potesse coprire date le circostanze.
    Lo scopo ultimo di questo movimento era quello di riuscire a trovarsi, per quando la nuvola di fumo si sarebbe diradata, nascosta dietro ad un albero, alle spalle del suo nemico.


    Lightfoot (Lv. 1): Uno degli insegnamenti di Celia. Elizabeth ha imparato le tecniche e gli accorgimenti necessari per muoversi facendo meno rumore possibile, riducendo la probabilità di essere scoperta.

    Udito Sviluppato (Lv. 1): L’udito di Elizabeth è particolarmente sviluppato; laddove le potenzialità sono infinite, a questo livello l’abilità permette solo di udire suoni più lievi e/o più distanti meglio di una persona normale.
    Parkour (Lv. 1) : Abilità chiave per lo stile di combattimento di Elizabeth: incorporata a esso, permette l’accumulo di moto e schivate attraverso piroette e movimenti acrobatici. Quest’ abilità può anche essere usata per raggiungere posti normalmente inaccessibili e spostamenti più rapidi del normale.

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    Distanza di lancio oggetti: 10 M
    Altezza base salto: 6 M
    Lunghezza base salto: 7,5 M

    Equipaggiamento: Scarpe rinforzate (Buona fattura)
    Scheggia di vetro (Impugnata nella mano destra)
     
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    La scelta di Elizabeth, quella di voler tagliare la corda, non in senso in metaforico, sembrava essere una buona idea. Doveva eliminare l'appoggio del nemico che in quel momento sembrava trovarsi sulla corda. Sembrava perché la nube ne oscurava la posizione, ma la corda era tesa, ma pendente verso il basso, come se qualcuno o qualcosa si trovasse sopra di esso. La scelta della giovane del CP era stata buona, quando la lama di vetro iniziò a sfrigolare sul fil in ferro, ci volle un attimo per sentire un suono rapido e acuto, osservando da sé come il filo, staccandosi, sembrava essere animato nel suo muoversi in modo ondulato mentre cadeva verso il basso. Il nascondersi subito dopo l'aiutò, potendo sentire come un coltello fosse stato puntato verso il tronco, all'altezza del ramo, senza però riuscire a centrarla. Elizabeth, con il potenziale aiuto del suo udito, avrebbe potuto captare un tonfo, seguito da una rotolata e poi un "BIP", dopo quello niente più. Avrebbe potuto attaccarlo, oppure no, ma la coltre era ancora ben presente, oscurando parzialmente la zona in cui si trovava il nemico che appariva simile ad un'ombra ora, inginocchiato a terra. Non era comprensibile cosa stesse facendo o se stava realmente facendo qualcosa, ma subito dopo si rialzò, tirando fuori un altro coltello. A quel punto la coltre si diradò, mostrandolo in piedi, con un coltellino in mano, guardandosi intorno, guardingo.


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    Stava andando bene. Stava andando sicuramente meglio di com’era iniziata.

    Quando il fumo fu completamente disperso e le forme della brughiera tornarono ad essere nitide e riconoscibili nella loro relativa oscurità, Elizabeth poté assistere a come il suo nemico, non più quell’ombra inafferrabile, si stava guardando attorno con fare circospetto.
    Non un freddo e immortale calcolatore, solo un tizio con qualche affare meccanico, inventiva e pianificazione.
    Posso farcela.
    Ma come procedere? Durante il suo spostamento era riuscita a percepire, oltre alla manovra d’atterraggio del funambolo, l’attivarsi di almeno un altro di quei dannati rasoi esplosivi.
    Ma era davvero così?
    Il suo aggressore non sembrava essersi spostato più di tanto dal luogo dell’impatto, rientrando nell’area da lei prevista; ipotizzando che il nemico sapesse che l’agente si sarebbe avvicinato per attaccarla, piazzare un esplosivo vicino a sé, rischiando di restare coinvolti nell’esplosione, non sembrava una mossa plausibile.
    Aveva molto più senso il fatto che si trattasse di un secondo fumogeno, o di qualche altra chincaglieria equivalente.
    Lascia stare. - le suggerì una più mite voce interiore - Non stare più ai suoi giochetti.
    È il tuo turno, ora.

    Aveva ragione.
    Elizabeth guardò dapprima l’albero dietro al quale si era riparato, poi la sua mano sinistra. Non sarebbe stato chissà quale piano, ma avrebbe difeso quella tanto agognata iniziativa con le unghie e con i denti.
    E poi, non aveva bisogno di chissà quale escamotage...ma giusto di qualche momento.

    Per prima cosa, aveva bisogno della cravatta.
    Elizabeth poggiò il pezzo di vetro a terra, lasciando in mano solo il capo di vestiario in tessuto.
    Poi, si sfilò il guanto della mano sinistra, poggiandolo vicino a quel coltello improvvisato: da lì in poi avrebbe usato quello per impugnare quel coccio.
    Avrebbe fatto di quella cravatta bianca un'esca: prima avrebbe fatto pressione sul palmo della mano ferita, per far sgorgare un po’ più di sangue; poi vi avrebbe premuto sopra la cravatta, andando, effettivamente, ad imbrattarla del fluido vitale; infine, avrebbe provato a lasciare un po’ di sangue sul tronco, prima di buttare l'indumento alla base dello stesso.
    Voleva – nei limiti che le circostanze e i pochi strumenti a sua disposizione imponevano – dare l’impressione di essersi arrampicata su quell’albero in cerca di salvezza.
    A questo punto, avrebbe ripreso in mano la scheggia di vetro con l’ausilio di quel guanto lacero e avrebbe provato a strisciare dietro un altro albero, posto a un paio di metri di distanza da lì e in direzione opposta rispetto l’avversario.
    Devo solo stare attenta a non sanguinare sull’erba e muovermi piano, questo abito nero farà il resto.
    Se fosse riuscita ad arrivare al nuovo nascondiglio senza problemi, avrebbe attuato la penultima parte del suo piano: provare a lanciare la scheggia con precisione e forza sufficienti a colpire “l’albero-esca” con un rumore sufficientemente nitido da giungere alle orecchie del suo avversario.
    Sperando che abbia un buon orecchio.

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    Ora che il nemico era scoperto, Elizabeth poteva fare la sua mossa, qualunque essa fosse. Il tizio si guardava ancora con circospezione in giro, non allontanandosi dal punto in cui era caduto, stringendo nella sua mano destra la lama di un coltello, di piccole dimensioni, atto più nel lancio che in un combattimento corpo a corpo, a meno che non fosse un esperto di spada e in quel caso anche un ago gli avrebbe permesso la vittoria. Elizabeth ora come ora stava cercando di trovare un buon punto dal quale partire per programmare un diversivo o un attacco a sorpresa. Dopo aver preparato la scheggia di vetro e la cravatta, eccola che si mossea gattoni verso un altro riparo, escogitando un modo per richiamarlo a quel punto dove, una volta lanciata la scheggia, la ragazza avrebbe atteso il momento in cui il nemico si sarebbe avvicinato. Non appena sentì il rumore, il ragazzo si lanciò verso la zona avversa, intravedendo solo dopo l'indumento macchiato e il tronco sporco di sangue, ciò che lo portò in dubbio, fu rendersi conto che la macchia di sangue sull'albero non era poi tanto enorme, così come sulla cravatta, qualcosa non quadrava dunque. Non abbassò la guardia, ma cercò di allontanarsi di 2 metri dall'albero, parallelamente ad esso, stringendo ancora il coltello tra le mani, con il dubbio che potesse essere una trappola. Se il suo nemico si fosse trovato all'interno dell'albero, tipo tra le foglie, avrebbe potuto colpirlo nel momento in cui avrebbe visualizzato le macchie di sangue. A questo punto Elizabeth aveva ciò voleva, ma doveva continuare.


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